Filosofia della religione

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Origini antiche

Si può dire che l’interesse filosofico per la religione abbia avuto origine in Occidente con gli antichi greci. Molte delle questioni durature della filosofia della religione sono state affrontate per la prima volta da loro, e le affermazioni e le controversie che hanno sviluppato sono servite come quadro per il successivo filosofare per più di 1500 anni. Platone (427-347 a.C.), che sviluppò la teoria metafisica delle Forme (entità astratte corrispondenti alle proprietà di oggetti particolari), fu anche uno dei primi pensatori a considerare l’idea della creazione e a cercare di dimostrare l’esistenza di Dio. L’allievo di Platone, Aristotele (384-322 a.C.) sviluppò la propria teoria metafisica del primo, o immobile, motore dell’universo, che molti dei suoi interpreti hanno identificato con Dio. Le speculazioni di Aristotele diedero inizio a una tradizione che più tardi fu conosciuta come teologia naturale – il tentativo di fornire una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio basata sulle caratteristiche del mondo naturale. Lo stoicismo dell’età ellenistica (300 a.C.-300 a.C.) era caratterizzato dal naturalismo filosofico, compresa l’idea della legge naturale (un sistema di diritto o giustizia che si pensava fosse inerente alla natura); nel frattempo, pensatori come Tito Lucrezio Carus nel I secolo a.C. e Sesto Empirico nel III secolo a.C. insegnavano una varietà di dottrine scettiche. Sebbene non sia un’opera originale di filosofia, il De natura deorum (44 a.C.; “La natura degli dei”), dello statista e studioso romano Marco Tullio Cicerone, è una fonte inestimabile di informazioni sulle idee antiche sulla religione e sulle controversie filosofiche che hanno generato.

Raphael: particolare dalla Scuola di Atene

Plato (a sinistra) e Aristotele, particolare dalla Scuola di Atene, affresco di Raffaello, 1508-11; nella Stanza della Segnatura, Vaticano. Platone è raffigurato mentre indica il cielo e il regno delle forme, Aristotele la terra e il regno delle cose.

Album/Oronoz/SuperStock

Nell’età ellenistica la filosofia era considerata non tanto un insieme di riflessioni teoriche su questioni di interesse umano costante, quanto un modo di affrontare come una persona dovesse condurre la sua vita di fronte alla corruzione e alla morte. Era naturale, quindi, che le varie posizioni dei filosofi ellenistici dovessero sia rivaleggiare che offrire supporto alla religione. Una vivida vignetta della natura di queste filosofie sovrapposte e in competizione si trova nel racconto del discorso dell’apostolo Paolo all’Areopagitica di Atene, come registrato negli Atti degli Apostoli. Confrontandosi con stoici, epicurei e senza dubbio altri, Paolo tentò di identificare il loro “Dio sconosciuto” con il Dio e Padre di Gesù Cristo.

Dal III secolo, i pensatori cristiani avevano cominciato ad adottare le idee di Platone e di neoplatonici come Plotino. La più influente di queste figure, Sant’Agostino di Ippona (354-430), elucidò la dottrina di Dio in termini di Forme di Platone. Per Agostino, Dio, come le Forme, era eterno, incorruttibile e necessario. Tuttavia Agostino vedeva anche Dio come un agente di potere supremo e il creatore dell’universo dal nulla. L’alterazione di Agostino del pensiero platonico mostra che tali pensatori non si appropriarono acriticamente delle idee greche; anzi, si può pensare che usassero le idee greche per chiarire e difendere l’insegnamento scritturale contro gli attacchi pagani. Presero in prestito termini greci chiave, come persona (soma; persona), natura (physis; natura) e sostanza (ousia; substantia), nel tentativo di chiarire le loro dottrine.

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