Jeremy Taylor: Holy Living

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Regole per il digiuno cristiano.

1. Il digiuno, in ordine alla preghiera, deve essere misurato secondo le proporzioni dei tempi di preghiera; cioè, dovrebbe essere un digiuno totale da tutte le cose, durante la solennità, a meno che non intervenga una palese necessità. Così gli ebrei non mangiavano nulla nei giorni di sabato fino a quando i loro grandi uffici non fossero stati compiuti, cioè verso l’ora sesta; e San Pietro lo usava come argomento per dire che il digiuno non è mai stato interrotto. Pietro usò come argomento il fatto che gli apostoli a Pentecoste non erano ubriachi, perché era solo la terza ora del giorno; di un tale giorno in cui non era lecito mangiare o bere fino alla sesta ora; e i Giudei si offesero con i discepoli per aver colto le spighe di sabato, la mattina presto, perché era prima dell’ora in cui, secondo le loro usanze, ritenevano lecito rompere il digiuno. A imitazione di questa usanza, e per perseguirne la ragione, la chiesa cristiana ha religiosamente osservato il digiuno, prima della santa comunione; e le persone più devote (anche se senza alcun obbligo) si rifiutavano di mangiare o bere finché non avessero finito le loro devozioni mattutine: e inoltre, nei giorni di umiliazione pubblica, che devono essere trascorsi interamente nella devozione e per scongiurare i giudizi di Dio (se fossero imminenti), il digiuno è comandato insieme alla preghiera: comandato (dico) dalla chiesa a questo scopo – affinché lo spirito sia più chiaro e angelico, quando è liberato in qualche misura dai carichi della carne.

2. Il digiuno, quando è finalizzato alla preghiera, deve essere un’astinenza totale da tutta la carne, oppure una riduzione della quantità; perché l’aiuto che il digiuno fa alla preghiera non può essere servito cambiando la carne in pesce, o le carni di latte in dieta secca; ma trasformando molto in poco, o poco in niente, durante il tempo della preghiera solenne e straordinaria.

3. Il digiuno, in quanto strumentale alla preghiera, deve essere accompagnato da altri aiuti della stessa virtù ed efficacia; come la rimozione per il momento di tutte le preoccupazioni mondane e degli affari secolari; e perciò il nostro benedetto Salvatore racchiude queste parti nella stessa ammonizione, “fate attenzione, affinché i vostri cuori non siano sovraccaricati da abbuffate e ubriachezze e dalle preoccupazioni di questo mondo, e quel giorno vi colga impreparati”. A ciò si aggiunga l’elemosina; poiché sulle ali del digiuno e dell’elemosina la santa preghiera sale infallibilmente al cielo.218218Jejunium sine eleemosyna, lampas sine oleo.- San Aug.

4. Quando il digiuno è destinato a servire al dovere o al pentimento, è allora meglio scelto quando è breve, brusco e afflittivo; cioè, o un’astinenza totale da ogni nutrimento, secondo quanto decideremo o saremo nominati, durante un tempo che è separato per la solennità e la partecipazione al lavoro: oppure, se estenderemo la nostra severità oltre i giorni solenni, e conserveremo la nostra ira contro il nostro peccato, come dobbiamo conservare il nostro dolore, cioè sempre pronti, e spesso per essere chiamati; allora, rifiutare un boccone piacevole, astenersi dal pane dei nostri desideri, e prendere solo un nutrimento sano e meno piacevole, vessando il nostro appetito rifiutando una soddisfazione lecita, poiché, nella sua petulanza e lusso, pregava su un illecito.

5. Il digiuno finalizzato al pentimento deve essere sempre unito a un’estrema cura nel digiunare dal peccato; perché non c’è follia o indecenza più grande al mondo che commettere quello per cui ora mi sto giudicando e condannando. Questo è il miglior digiuno; e l’altro può servire a promuovere l’interesse di questo, aumentando la disaffezione ad esso, e moltiplicando gli argomenti contro di esso.

6. Colui che digiuna per pentimento deve, durante quella solennità, astenersi da tutti i piaceri corporali, e dalla sensualità di tutti i suoi sensi e dei suoi appetiti; perché un uomo non deve, quando piange nel suo digiuno, essere allegro nel suo sport; piangere a cena, e ridere tutto il giorno dopo; avere il silenzio in cucina, e la musica nella sua camera; giudicare lo stomaco, e festeggiare gli altri sensi. Non nego che un uomo può, in un singolo caso, punire un peccato particolare con un propalato, può scegliere di digiunare soltanto; se ha peccato nella mollezza e nel tatto, può scegliere di giacere duramente, o lavorare duramente, e usare brusche inflizioni; ma sebbene questa disciplina sia appropriata e particolare, tuttavia perché il dolore è di tutto l’uomo, nessun senso deve gioire, o essere con qualsiasi studio o scopo banchettato e intrattenuto dolcemente. Questa regola si riferisce ai giorni solenni stabiliti per il pentimento in pubblico o in privato; oltre a ciò, in tutto il corso della nostra vita, anche in mezzo alle nostre feste e gioie più libere, possiamo cospargere alcuni singoli casi e atti di autocondanna, o punizione; come rifiutare un boccone piacevole o una bevanda deliziosa con un tacito ricordo del peccato che ora torna a dispiacere al mio spirito. E, anche se queste azioni sono singole, non c’è indecenza in esse; perché un uomo può ridurre la sua libertà ordinaria e mantenere la libertà con grande prudenza, quindi lo fa senza singolarità in se stesso o disturbo per gli altri; ma non può ridurre il suo solenne dolore: questo può essere prudenza; ma questo sarebbe mollezza, effeminatezza e indecenza.

7. Quando il digiuno è un atto di mortificazione, cioè è inteso a sottomettere una concupiscenza corporale, come lo spirito di fornicazione, o la predilezione di appetiti forti e impazienti, non deve essere un digiuno improvviso, brusco e violento, ma uno stato di digiuno, una dieta di digiuno, una diminuzione quotidiana della nostra porzione di carne e bevande, e una scelta di tale dieta di corso,219219Digiuna assai chi mal mangia. che possa preparare il meno possibile le concupiscenze del corpo. Colui che digiuna tre giorni senza cibo indebolirà le altre parti più dei ministri della fornicazione; e quando i pasti torneranno come al solito, anch’essi saranno serviti al più presto. Nel frattempo, essi saranno riforniti e resi attivi dal calore accidentale che viene con tali digiuni violenti: poiché questo è una specie di diavolo aereo il principe che governa nell’aria è il diavolo della fornicazione; e sarà altrettanto tentato con la ventosità di un digiuno violento che con la carne di un pasto ordinario.220220Chi digiuna, et altro ben non fa. Ma una sottrazione quotidiana del nutrimento introdurrà un’abitudine del corpo meno occupato; e questo si dimostrerà il rimedio più efficace.

8. Il digiuno da solo non curerà questo demonio, anche se aiuta molto a farlo; ma non deve quindi essere trascurato, ma assistito da tutti gli strumenti appropriati di rimedio contro questo spirito immondo; e ciò che non è in grado di fare da solo, in compagnia di altri strumenti, e la benedizione di Dio su di essi, può ottenere.

9. Ogni digiuno, per qualunque fine sia intrapreso, deve essere fatto senza alcuna opinione della necessità della cosa stessa, senza censurare gli altri, con tutta umiltà, in ordine al fine proprio; e proprio come un uomo prende una medicina, di cui nessuno ha motivo di essere orgoglioso, e nessuno la ritiene necessaria, se non perché è in malattia, o in pericolo e disposto ad essa.

10. Tutti i digiuni ordinati dalla legittima autorità devono essere osservati in ordine agli stessi scopi ai quali sono ingiunti, e devono essere accompagnati da azioni della stessa natura, proprio come avviene nei digiuni privati; poiché non c’è altra differenza, se non che in pubblico i nostri superiori scelgono per noi ciò che in privato facciamo per noi stessi.

11. I digiuni ordinati dall’autorità legittima non devono essere trascurati; perché solo essi possono fare la cosa per cui sono stati ordinati. Può essere che un giorno di umiliazione non ottenga la benedizione, o che da solo uccida la lussuria; tuttavia non deve essere disprezzato se può fare qualcosa in tal senso. E il digiuno è un atto di abnegazione; e, anche se non produce l’abitudine, è comunque un buon atto.

12. Quando il fine principale per cui un digiuno è pubblicamente prescritto è ottenuto da qualche altro strumento, in una particolare persona – come se lo spirito di fornicazione fosse curato dal rito del matrimonio, o da un dono di castità – tuttavia quella persona così alleviata non è liberata dai digiuni della chiesa solo per questo, se quei digiuni possono prudentemente servire a qualche altro fine della religione, come quello della preghiera, o del pentimento, o della mortificazione di qualche altro appetito; perché quando è strumentale a qualsiasi fine dello Spirito, è liberato dalla superstizione, e allora dobbiamo avere qualche altra ragione che ci esoneri dall’obbligo, o quella sola non lo farà.

13. Quando il digiuno pubblicamente comandato a causa di qualche indisposizione nella persona particolare non può operare al fine del comandamento, tuttavia l’evitare l’offesa, e il conformarsi all’ordine pubblico, è ragione sufficiente per rendere necessaria l’obbedienza. Perché chi è altrimenti disobbligato, come quando cessa la ragione della legge rispetto al suo particolare, rimane comunque obbligato se non può fare altrimenti senza scandalo; ma questo è un obbligo di carità, non di giustizia.

14. Tutti i digiuni devono essere usati con prudenza e carità; perché non c’è fine a cui il digiuno serva, se non può essere ottenuto con altri strumenti; e quindi non deve mai diventare uno strumento di scrupolo, o diventare un nemico della nostra salute, o essere imposto a persone malate o anziane, o a cui è, in qualche senso, poco caritatevole, come i viaggiatori affaticati; o a cui, in tutto il suo genere, è inutile, come le donne incinte, i poveri e i bambini piccoli. Ma in questi casi la Chiesa ha previsto e inserito cautela nelle sue leggi; e devono essere ridotte a pratica secondo l’uso e la sentenza delle persone prudenti, con grande latitudine, e senza gentilezza e curiosità, avendo questo nella nostra prima cura, che ci assicuriamo la nostra virtù; e, dopo, che ci assicuriamo la nostra salute, per poter meglio esercitare le fatiche della virtù, per evitare che, per troppa austerità, ci portiamo a quella condizione che è necessario essere indulgenti alla morbidezza, alla facilità e alla tenerezza estrema.221221S. Basilio. Monast. Constit. cap. 5. Cassiano. Col 21. cap. 22. Ne per causam necessitatis eo impingamus, ut voluptatibus scrviamus.

15. Non lasciare che l’intemperanza sia il prologo o l’epilogo del tuo digiuno, per evitare che il digiuno sia così lontano dal togliere qualcosa del peccato, da essere un’occasione per aumentarlo; e, quindi, quando il digiuno è fatto, fai attenzione che nessun atto successivo di gola o di bere eccessivo disconosca la religione del giorno passato; ma mangia con moderazione, secondo la proporzione degli altri pasti, per evitare che la gola tenga una delle porte dell’astinenza.222222Αμυνομενοι τμν ηνεραν.-Naz.

218Jejunium sine eleemosyna, lampas sine oleo.-St. Aug.
219Digiuna assai chi mal mangia.
220Chi digiuna, et altro ben non fa.
221S. Basilio. Monast. Constit. cap. 5. Cassiano. Col 21. cap. 22. Ne per causam necessitatis eo impingamus, ut voluptatibus scrviamus.
222Αμυνομενοι τμν ηνεραν.-Naz.

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