Ordine dorico

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Ordine dorico. Ordine classico dell’architettura che si trova in diverse varietà greche e romane, probabilmente evoluto da prototipi di legno prima del C6 a.C., come suggerito dal fregio con i suoi triglifi che forse rappresentano le estremità delle travi, le guttae i tasselli di costruzione, e le metope gli spazi tra le travi, ma questa interpretazione non è affatto accettata come vangelo. Anche le antiche colonne egiziane, specialmente quelle delle tombe scavate nella roccia di Beni-Hasan (1900 a.C. circa) e le colonne a sedici lati del Tempio della Regina Hatshepsut, Deïr-el-Bahari (1480-c.1458 a.C. circa), sono state viste come prototipi della colonna dorica. L’ordine dorico greco comprende un fusto senza base (normalmente tagliato con flauti separati da arcate, ma occasionalmente non flautato, come nel tempio di Apollo, Delo (325-300 a.C.)), che sale direttamente dallo stilobate, diminuendo in diametro dal basso verso l’alto (diminuzione) in una delicata curva verso l’esterno chiamata entasi (molto pronunciata negli ordini usati a Paestum (565-c.450 bc)), terminante nel trachelion (parte del fusto tra le scanalature orizzontali che circoscrivono il fusto (hypotrachelion) e le anse); un capitello composto da 3-5 anse (anelli) che fermano il fusto e i suoi flauti e formano la base dell’echino a cuscino (spesso molto pronunciato nei templi di Paestum) che sostiene l’abaco quadrato non decorato; e una trabeazione, circa un quarto dell’altezza dell’intero Ordine, che consiste in un architrave piatto che porta il fregio e la cornice di coronamento. Immediatamente sopra l’architrave è una banda piana o taenia sotto la quale, allineandosi con i triglifi sopra, è una serie di bande strette (regulae) con 6 guttae o gocce coniche appese sotto di loro. Sopra la taenia c’è il fregio, che consiste in una serie di triglifi alternati (lastre piatte verticali, incise con due glifi verticali a forma di V (canali) e un mezzo glifo su ogni lato, in cima ai quali c’è una fascia sporgente liscia) e metope approssimativamente quadrate arretrate rispetto alla faccia dei triglifi e spesso abbellite con scultura in rilievo (prima con pannelli in terracotta dipinta). I triglifi sono normalmente posti sopra la linea centrale di ogni colonna e sopra la linea centrale di ogni intercolumnazione negli edifici ellenici (dove un solo triglifo è posto tra la linea centrale di ogni colonna), ma negli edifici ellenistici l’intercolumnazione è di solito più ampia, quindi si verificavano due o più triglifi. Tuttavia, i propilei ateniesi (C5 a.C.) avevano due triglifi sopra l’intercolumnazione centrale. Nel dorico greco i triglifi terminano invariabilmente un fregio, quindi si toccano all’angolo di un edificio: poiché una colonna posta sulla linea centrale del triglifo avrebbe una proiezione inaccettabilmente goffa in un angolo, essa è quindi arretrata, e la regola della linea centrale è rotta all’angolo, risultando in intercolumni più stretti tra le colonne d’angolo e le loro immediate vicine. Sopra il fregio c’è la cornice con mutuli inclinati sporgenti sull’intradosso posti sopra i triglifi e le linee centrali delle metope, così non c’è spazio sufficiente per l’ornamento dell’intradosso eccetto per le guttae sui lati inferiori dei mutuli e (a volte) un anthemion o altro arricchimento all’angolo dell’intradosso, dove non ci sono mutuli. Il paradigma del dorico greco è ritenuto da alcuni il Partenone ateniese (447-438 a.C.), anche se il tipo è stabilito dal tempio di Aphaia a Egina (c.495 Nella versione romana del dorico, ci può essere una base rudimentale, ma il fusto è generalmente più snello, e la trabeazione è solo un ottavo dell’altezza dell’ordine (come nel tempio prostilo tetrastilo di Cori nel Lazio (C1 a.C.)), dando un effetto piuttosto debole. Sotto l’impero romano il dorico cessò veramente di essere usato, e quello che noi chiamiamo dorico romano è in realtà una varietà di ordine toscano a cui furono aggiunti triglifi e altri abbellimenti. Questo cosiddetto dorico fu codificato e sviluppato durante il Rinascimento, e consiste in una base, un fusto (scanalato o non scanalato) di proporzioni più snelle che nel dorico greco, e un capitello che consiste in un astragalo (a volte ornato con perline e rocchetti) unito al fusto da un apofilo, un ipotrachelio a fregio (spesso ornato), un echino (a volte arricchito con uova e dardi), e un abaco quadrato con una modanatura a corona. Gli architravi sono a volte semplici, ma di solito hanno due fasce separate da modanature, e il fregio ha triglifi che non si verificano fuori centro rispetto alle colonne perché non si toccano agli angoli. C’è invece una demi-metopa all’angolo, una soluzione proposta da Vitruvio, che probabilmente la prese da un teorico ellenistico: Le colonne doriche romane sono quindi sempre equidistanti, con intercolumni identici, anche agli angoli, anche se la spaziatura è invariabilmente ampia, con due o più triglifi sopra ogni intercolumnazione anche se ci sono alcune eccezioni, come il Mausoleo di Hawksmoor a Castle Howard, Yorks. (1729-36), dove l’intercolumnazione è deliberatamente stretta, per aggiungere alla gravità dell’architettura. Le metope sono spesso ornate con bucrani e altri dispositivi derivati da modelli ellenistici, specialmente dall’Asia Minore. Le mutule sono di solito poste solo sopra i triglifi, dando spazio a ulteriori ornamenti inventivi sull’intradosso, e hanno una leggera pendenza e una proiezione molto modesta (di solito solo le guttae) sotto la cornice. Il potente ordine delle mutule di Vignola ha mutule orizzontali che sporgono, dando un intradosso altamente modellato e ulteriormente ornato con losanghe e saette. Scamozzi e Vignola usarono entrambi dentelli associati alle modanature delle loro versioni, chiaramente derivate dall’Antico Ordine delle terme di Diocleziano, Roma (306 d.C.), che ha una banda continua di ornamenti a traforo che suggeriscono i dentelli.

Bibliografia

J. Curl (2001);
Dinsmoor (1950);
Hersey (1988);
C. Normand (1852);
Onians (1988)

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