Quando Galileo fu processato per aver difeso la scienza

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Quattro secoli fa, lo scienziato italiano Galileo Galilei mise in gioco la sua libertà e la sua vita per convincere l’establishment religioso che il modello copernicano del sistema solare – in cui la Terra e gli altri pianeti ruotavano intorno al sole – rappresentava la realtà fisica.

In seguito alle sue osservazioni e alle scoperte di altri astronomi, nessuno poteva più sostenere che ciò che si vedeva attraverso il telescopio era un’illusione ottica e non una riproduzione fedele del mondo. L’unica difesa che rimaneva a coloro che si rifiutavano di accettare le conclusioni proposte per la prima volta da Nicolaus Copernicus, un matematico e astronomo dell’epoca rinascimentale, e sostenute dai fatti che si accumulavano e dal ragionamento scientifico, era di rifiutare l’interpretazione dei risultati.

I teologi concludevano che una Terra mobile e un sole fermo erano in conflitto con le interpretazioni letterali delle scritture, e con il modello geocentrico tolemaico, che era stato adottato come ortodossia della Chiesa cattolica. I negazionisti citavano, per esempio, il libro di Giosuè, in cui, su richiesta di Giosuè, Dio ordinò al sole, e non alla Terra, di stare fermo sopra l’antica città cananea di Gibeon.

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L’inquisizione di Galileo viene lanciata dal Papa

Galileo Galilei davanti ai membri del Santo Ufficio in Vaticano nel 1633.

Fine Art Images/Heritage Images/Getty Images

Galileo, tuttavia, continuò a pubblicare il suo libro, Dialogo sui due sistemi mondiali principali, in cui derideva coloro che si rifiutavano di accettare il sistema copernicano. Il 12 aprile 1633, il capo inquisitore Padre Vincenzo Maculano, nominato da Papa Urbano VIII, lanciò un’inquisizione su Galileo e ordinò all’astronomo di presentarsi al Santo Ufficio per iniziare il processo.

Il processo a Galileo, un uomo descritto da Albert Einstein come “il padre della scienza moderna”, si svolse in tre sessioni, il 12 aprile, il 30 aprile e il 10 maggio 1633. La sentenza fu pronunciata il 22 giugno.

Nella prima sessione, il procuratore Maculano introdusse un avvertimento emesso contro Galileo 17 anni prima, in cui a Galileo veniva ordinato dal Commissario Generale della Chiesa di abbandonare le sue idee copernicane e di non difenderle o insegnarle in alcun modo. Questo documento era significativo, poiché nel suo libro (pubblicato nel 1632), Galileo presentò argomenti a favore del modello copernicano, anche se aggiunse una prefazione e una coda che sembravano implicare che non si poteva concludere quale dei due modelli fosse corretto.

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Quando gli fu chiesto quali istruzioni avesse ricevuto nel 1616, Galileo disse: “Il signor cardinale Bellarmino mi disse che poiché l’opinione di Copernico, presa assolutamente era contraria alla Sacra Scrittura, non poteva essere tenuta o difesa, ma poteva essere presa e usata suppositivamente”. Galileo ha persino prodotto una copia della lettera consegnatagli da Bellarmino, che affermava quanto segue.

Da un punto di vista puramente legale, questo portò le prove che incriminavano e rivendicavano Galileo praticamente ad un pareggio, poiché, mentre il documento di ingiunzione parlava di “non tenere, insegnare o difendere in alcun modo, né verbalmente né per iscritto”, la lettera di Bellarmino usava il linguaggio molto più debole di “non tenere o difendere il copernicanesimo.”

Ma una commissione speciale nominata per esaminare il Dialogo di Galileo e per determinare se avesse violato la proibizione di tenere, insegnare o difendere il copernicanesimo in qualsiasi modo, emise un rapporto concludendo che nello scrivere il libro, Galileo aveva disobbedito all’ingiunzione. Un membro, il gesuita Melchior Inchofer, dichiarò che Galileo era “veementemente sospettato di aderire fermamente” all’opinione copernicana, e “in effetti che la tiene.”

Senz’altro sentendosi intimidito e temendo per la sua vita, Galileo ammise allora che in alcune parti del suo libro gli argomenti a favore del copernicanesimo apparivano più forti di quanto avrebbero dovuto essere, a causa, disse, di “vana ambizione, pura ignoranza e inavvertenza.” Si offrì di fare qualsiasi ammenda al libro ordinata dalla corte, terminando con una richiesta di clemenza, basata sulla sua età e infermità.

Un riassunto degli atti del processo si rivelò estremamente dannoso per Galileo. Conteneva persino false accuse sollevate contro di lui circa 18 anni prima, come il fatto che era stato sentito affermare che Dio era un “incidente”.

Galileo viene condannato e costretto ad abiurare il suo lavoro

Il poeta inglese John Milton in visita a Galileo quando era prigioniero dell’Inquisizione.

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Il 22 giugno 1633, a Galileo fu ordinato di inginocchiarsi perché ritenuto “sospettato con veemenza di eresia”. Fu costretto ad “abbandonare completamente la falsa opinione” del copernicanesimo, e a leggere una dichiarazione, in cui ritrattava gran parte del lavoro della sua vita.

Dalla sua prospettiva estremamente ristretta, la Chiesa ha agito all’interno della sua autorità legale: Galileo fu condannato a causa di due fatti indiscutibili. Scrivendo il Dialogo ha violato l’ingiunzione emessa dal Commissario Generale nel 1616, di non difendere o insegnare il modello copernicano. Inoltre, ottenne il permesso della Chiesa di stampare il libro senza rivelare l’esistenza di tale ingiunzione.

Galileo era un uomo anziano e cieco ancora agli arresti domiciliari quando un poeta allora poco conosciuto, John Milton, gli fece visita nel 1638. Milton in seguito fece riferimento alla sua visita con lo scienziato mentre argomentava contro le licenze e la censura in un discorso al Parlamento inglese nel 1644.

Il poeta avvertì i suoi connazionali, “era questo che aveva smorzato la gloria degli ingegni italiani; che nulla era stato scritto in questi molti anni se non lusinghe e fustigazione. Fu lì che trovai e visitai il famoso Galileo invecchiato, prigioniero dell’Inquisizione, per aver pensato in Astronomia diversamente da come pensavano i licenziosi francescani e domenicani.”

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