Il Serialismo è una tecnica compositiva sperimentata da Arnold Schoenberg utilizzando tutte le 12 note della scala occidentale – il tutto all’interno di una serie fissa di regole.
Nessuna tecnica musicale ha suscitato lodi così stravaganti o oppressioni così pungenti. Leggendo i suoi principali esponenti, a volte è difficile dire da che parte pensano di stare. Quello che stavamo facendo”, proclamò l’apostolo della serialità Pierre Boulez nel 1963, “era di annientare la volontà del compositore in favore di un sistema predeterminante”.
Quindi questa era un’interpretazione estrema del proclama nietzschiano “Dio è morto”? Era una reazione comprensibile alla distruzione scatenata dalla sfrenata volontà umana in due guerre mondiali? O era semplicemente l’espressione finale di ciò che Nietzsche chiamava anche “la volontà di potenza” nella musica?
Sorprendentemente, Schoenberg, il grande legislatore della musica del XX secolo, ha inventato la sua versione del serialismo nella scossa della prima guerra mondiale. Guardando indietro allo sperimentalismo selvaggio delle sue opere atonali prima della guerra, sembra aver reagito come qualcuno che si sveglia improvvisamente da un sogno terrificante.
C’era bisogno di unità, di un mezzo per organizzare la musica non tonale che potesse sostituire il vecchio “sistema” della tonalità. Schoenberg escogitò un dispositivo per mantenere tutte le 12 note della scala cromatica in una rotazione costante e ordinata: una ‘fila di 12 note’. Un tema?
È allo stesso tempo più e meno di un tema: meno in quanto non ha dimensione ritmica e quindi non esiste nel tempo; più in quanto tutto – assolutamente tutto – nella composizione risultante deve derivare da esso.
Rispetto al linguaggio elastico e meravigliosamente ambiguo della tonalità, il serialismo era un incubo deterministico. Alcuni degli sforzi di Schoenberg di fonderlo con gli stilemi del classicismo-romanticismo brahmsiano negli anni ’20 e ’30 possono ricordare il tragico sacerdote troiano Laocoonte che lotta disperatamente con enormi serpenti marini che lo costringono.
Poi, forse ispirato dagli sforzi meno fanatici del suo allievo Alban Berg, Schoenberg cominciò più tardi ad allentare le regole e a introdurre elementi tonali nelle sue file, e da allora si può dire che il flusso dei veri capolavori riprese.
Quello che Boulez e i suoi confrères tentarono, sulla scia dell’ennesima guerra mondiale, fu di portare altri parametri musicali – ritmo, dinamica, colore strumentale – sotto il controllo seriale.
Era un’impresa eroica, quasi certamente condannata. Quando gli fu chiesto, al Festival di Edimburgo del 1999, perché il pubblico si rifiutasse risolutamente di amare i figli del serialismo, Boulez rispose malinconicamente: “Forse non abbiamo tenuto sufficientemente conto del modo in cui la musica viene percepita dall’ascoltatore.”
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta nel numero di settembre 2015 di BBC Music Magazine