Come il cinema francese ricorda la dimenticata guerra d’Indocina?

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Cronologicamente inserita tra la seconda guerra mondiale (1939-1945) e la guerra d’Algeria (1954-1962), la guerra del Vietnam francese (1945-1954, conosciuta anche come prima guerra del Vietnam o guerra d’Indocina) è uno dei conflitti più sconosciuti del XX secolo. Una delle ragioni principali di questo oblio è che le battaglie furono combattute solo da una forza dell’esercito francese chiamata “le Corps Expéditionnaire Français d’Extrême-Orient” (CEFEO), e non dal contingente (a differenza della guerra d’Algeria o del Vietnam americano). La guerra d’Algeria e i suoi coscritti coinvolgevano direttamente tutte le famiglie francesi, al contrario della guerra d’Indocina e del suo esercito professionale, perso lontano dalla patria. Un’altra ragione è il territorio interessato dal conflitto poiché, nella stessa penisola, solo qualche anno dopo (ufficialmente), la Seconda Guerra del Vietnam (detta anche Guerra del Vietnam Americana) ebbe luogo con un’altra forza d’urto mediatica (inizio delle trasmissioni televisive) e in nome del contenimento e non più dell’imperialismo europeo. Tutti hanno visto le immagini di questa seconda guerra del Vietnam, ogni famiglia francese conosce la guerra d’Algeria, mentre la storia della guerra d’Indocina (come la guerra di Corea, 1950-1953) è “schiacciata” e dimenticata sotto gli strati dei ricordi di questi altri conflitti.

Ognuno di questi due conflitti (guerra d’Algeria e guerra del Vietnam) ha contribuito a relegare la guerra d’Indocina ai confini della coscienza storica nazionale. A titolo di paragone, il corpus francese sulla guerra d’Algeria è stimato da Benjamin Stora, Guy Hennebelle e Mouny Berrah in La Guerre d’Algérie à l’écran (1997) in più di 50 film di guerra, mentre il corpus americano sulla guerra del Vietnam è stato stimato in più di 500 film di guerra nel 2000 da Linda Dittmar e Gene Michaud (From Hanoi to Hollywood). In confronto, la guerra d’Indocina nei film francesi ha, nel 2019, un corpus totale di soli 10 film di guerra, tra cui 5 film dei registi veterani Pierre Schoendoerffer (La 317e Section nel 1965, Diên Biên Phu nel 1992) e Claude Bernard-Aubert (Patrouille sans espoir nel 1957, Le Facteur s’en va-t-en guerre nel 1966 e Charlie Bravo nel 1980).

Comunque, la guerra d’Indocina non è assente dagli schermi. Dal 1945, una cinquantina di film l’hanno chiaramente menzionata nelle loro narrazioni, anche se queste evocazioni possono avvenire in modo più o meno furtivo. Se le allusioni sono dunque costanti da più di mezzo secolo, il soggetto resta marginale come la maggior parte dei personaggi che lo incarnano. La guerra d’Indocina sembra simboleggiare un eterno ritorno dell’emarginato, mai totalmente assente, mai realmente presente. Una delle figure più recenti di quella rappresentazione borderline è il personaggio dell’ufficiale zoppo interpretato da Louis Garrel in Mal de pierres di Nicole Garcia (2016): un uomo evanescente, traumatizzato, che scompare costantemente e suscita la fantasia attraverso il suo mistero, e una storia presto solo infestata dal suo fantasma. Dagli anni ’50, c’è il persistente martirio romantico portato da figure paria in queste rappresentazioni della guerra d’Indocina nel cinema francese.

Una delle prime idee sbagliate comuni sulle rappresentazioni cinematografiche della guerra d’Indocina è che Pierre Schoendoerffer, cineasta veterano e romanziere che ha adattato lui stesso la maggior parte della sua opera letteraria, sia l’unico ad aver scritto e girato dei film su questa guerra.

Schoendoerffer si arruolò nell’esercito nel 1952 per servire in Indocina come operatore militare. Fu inviato a Dien Bien Phu per filmare la battaglia. Fatto prigioniero al momento del cessate il fuoco, il 7 maggio 1954 (questa scena precisa è nel finale di Diên Biên Phu in cui Ludovic Schoendoerffer interpreta il ruolo di suo padre), è uno dei sopravvissuti dei campi vietminh e conserva, per suo conto, la sensazione di essere un “debitore”. Si è poi fatto carico di trasmettere le parole dei suoi compagni morti in battaglia e le ha espresse nei suoi film attraverso la ricorrenza della figura di un disperso a cui un parente rende omaggio attraversando un labirinto di testimonianze (è il principio narrativo di Le Crabe-Tambour del 1976, ma anche di L’Honneur d’un capitaine del 1982 o di Là-haut, un roi au-dessus des nuages del 2004).

Tuttavia, Pierre Schoendoerffer non è né l’unico né il primo cineasta veterano a esorcizzare la sua esperienza della guerra d’Indocina attraverso i film.

Jacques Perrin durante le riprese di La 317e section (Pierre Schoendoerffer, 1965) in Cambogia. Questa foto può essere vista in L’Honneur d’un capitaine (Pierre Schoendoerffer, 1982) poiché Schoendoerffer ha usato i suoi vecchi film come archivio.

Dieci anni prima de La 317e Section (1965), nel 1957, Claude Bernard-Aubert, ex membro del Servizio di Stampa Informativa fondato dal generale de Lattre, arruolato a 18 anni (1948-1954) in Indocina, aveva girato Patrouille sans espoir con l’aiuto dell’esercito francese. Nel 1956, le ultime truppe francesi hanno lasciato definitivamente il Vietnam del Sud. L’esercito permise allora al giovane regista di utilizzare i soldati ancora sul posto come comparse, e di avere tutto l’equipaggiamento militare necessario per le scene di combattimento. Purtroppo, al momento dell’uscita del film, qualche mese dopo, la situazione era cambiata. La Francia era impantanata in Algeria, e mostrare agli spettatori una remota postazione indocinese lasciata a se stessa e i cui combattenti erano abbandonati al loro destino era troppo rischioso per l’ordine pubblico. I rappresentanti dei principali ministeri, tra cui quello della Difesa, in seno alla Commissione di controllo del Centre National de la Cinématographie (CNC), vietarono il film a condizione che il regista accettasse di cambiarne il titolo (Patrouille sans espoir diventa Patrouille de choc) e che si sostituisse un lieto fine all’esito tragico e irrevocabile della storia originale. Costretto a mutilare il suo film per poterlo finalmente distribuire, Claude Bernard-Aubert trasse dalle riprese effettuate durante la Liberazione alcune inquadrature rassicuranti di carri armati che arrivavano in tempo per salvare i coraggiosi combattenti.

Patrouille sans espoir (ex Patrouille de choc), Claude Bernard-Aubert, 1957 (immagine di lancio).

Un secondo luogo comune delle rappresentazioni della guerra d’Indocina nei film francesi è precisamente che il soggetto dovrebbe essere censurato dalla Commissione di controllo del CNC… eppure non è così. Il caso di Patrouille sans espoir è uno dei due casi più importanti di censura del soggetto, il secondo è il film di Paul Carpita, Le Rendez-vous des quais, uscito nel 1955 prima di essere sequestrato e scomparire per quasi 30 anni per essere riscoperto alla fine degli anni 80. Girato a Marsiglia tra il 1950 e il 1953 (in particolare durante gli scioperi dei portuali contro la guerra d’Indocina) da un insegnante comunista, questo film è stato realizzato in condizioni parallele, addirittura clandestine, ispirate a quelle dei formati brevi militanti praticati da Carpita in quanto membro del Partito Comunista Francese (PCF). Il film è stato ufficialmente registrato al CNC con un titolo falso e con un riassunto molto annacquato che non menzionava il contesto della guerra d’Indocina, per non attirare l’attenzione dei censori. Il riassunto faceva solo menzione di una storia d’amore tra un portuale e una operaia, in un contesto di crisi sociale e di carenza di alloggi. In realtà, Carpita approfittò dei permessi di ripresa rilasciati per attività cosiddette educative sul porto con i suoi studenti per filmare le bare scaricate dalle navi militari e i cannoni che vi si imbarcano in una noria senza fine. Queste immagini furono ovviamente proibite, e tutte le strategie di diversione messe in atto fallirono; mentre il film aveva cominciato ad essere proiettato senza visto d’esposizione in alcune associazioni marsigliesi, le copie furono sequestrate e uscirono dagli Archivi Francesi del Film (AFF) solo quasi 30 anni dopo.

Inizio di uno sciopero contro la guerra d’Indocina nel porto di Marsiglia (Le Rendez-vous des quais, Paul Carpita, 1955).

A parte questi due grandi casi di censura, la guerra d’Indocina non fu bandita dagli schermi da una meticolosa politica statale. Si tratterebbe piuttosto di un caso di autocensura. Fino al 1962, i produttori erano consapevoli che i film che trattavano della guerra d’Indocina, e quindi della disfatta e della sconfitta, potevano essere tagliati o vietati perché gli “eventi algerini” si svolgevano dall’altra parte del Mediterraneo, e che non sarebbe stato accettabile nuocere al morale delle famiglie rimaste nella Francia continentale. Hanno quindi preferito rimandare le riprese e/o la data di uscita di tali progetti. Purtroppo per loro, dopo gli accordi di Evian, i film sulla guerra d’Algeria proliferarono, e con essi la loro processione di personaggi di giovani strappati alle loro vite per unirsi al contingente. In confronto, le fiction sulla guerra d’Indocina non potevano che apparire molto distanti, con la loro penisola alla fine del mondo e i loro soldati di carriera dagli ideali cavallereschi messi al servizio di un’ideologia coloniale d’altri tempi. Non c’era dunque bisogno di censurarli, essendo il pubblico responsabile di mantenerli solo ad un posto residuale nelle classifiche annuali.

Tuttavia, un ultimo luogo comune sarebbe quello di credere che tutti i film francesi che trattano la guerra d’Indocina al cinema siano stati visti solo da un pubblico limitato, e che l’argomento sia ormai scomparso dagli schermi. Per quanto improbabile possa sembrare, i personaggi più sorprendenti dei veterani dell’Indocina sono certamente personaggi comici: la scena del vetriolo in Les Tontons flingueurs (Georges Lautner, 1963) non è forse proprio un momento di scambi tra veterani che ricordano alcuni momenti chiave del loro passato in Indocina? I personaggi di perdenti interpretati da Bourvil e Jean-Paul Belmondo in Le Cerveau di Gérard Oury (1969) non si sono forse incontrati nella Plaine des Jarres? Spaggiari, interpretato da Jean-Paul Rouve in Sans arme, ni haine, ni violence (2008), non ha forse fatto un punto d’onore quasi folcloristico per ricordare il suo passato in Indocina? Di tutti questi personaggi, non possiamo dire se sono emarginati perché sono tornati dall’Indocina, o se sono andati in Indocina perché erano già deviati. Ma per tutti vale la stessa osservazione: sono ridicoli, e fondamentalmente incarnano personalità di perdenti e/o nerd, come se fosse necessario neutralizzare la sconfitta con la risata, e disinnescare la pericolosità latente dell’ex reduce d’Indocina rientrato nella società civile con lo spettacolo della sua incapacità di nuocere veramente.

Delphine Robic-Diaz

MCF Etudes cinématographiques et audiovisuelles

Université de Tours

delphine.robicdiaz{at}univ-tours.fr

Bibliografia:

DITTMAR Linda e MICHAUD Gene (eds), From Hanoi to Hollywood. The Vietnam War in American Films, Rutgers University Press, 2000, 388 p.

EADES Caroline, Le Cinéma post-colonial français, Cerf-Corlet, 2006, 426 p.

ROBIC-DIAZ Delphine, La Guerre d’Indochine dans le cinéma français. Image(s) d’un trou de mémoire, Presses Universitaires de Rennes, 2015, 358 p.

SHOHAT Ella e STAM Robert (eds), Unthinking Eurocentrism. Multiculturalisme and the Media, Routledge, 1994, 406 p.

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